Intervista a ENRICO FALCK

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La Responsabilità Sociale d’Impresa leva essenziale per la ripartenza del Paese.

In una conversazione a tutto tondo, Enrico Falck pone l’accento sull’importanza di prendere decisioni sostenibili per un’economia e una società migliore.

Da circa un anno è presidente di Sodalitas, la Fondazione che da 25 anni promuove la responsabilità sociale d’impresa. Che ruolo può rivestire la sostenibilità nella ripartenza del Paese?

Il concetto di sostenibilità può essere usato, e ahimè abusato, per pressoché ogni aspetto della vita civile ed economica. É intuibile comprendere che ogni azione o attività non sostenibile crea, di solito più prima che poi, costi o risultati negativi (le c.d. “esternalità negative”) che inizialmente non erano stati previsti e comunque superiori ai benefici causati dalla stessa azione o attività. Dovrebbe quindi essere logico che la società civile e la sua sfera economica scelgano attività sostenibili, ovvero applichino azioni correttive alle attività già intraprese non sostenibili, in modo da evitare quel saldo negativo tra benefici e malefici. Purtroppo la realtà non è così perché la società civile né la sua sfera economica riescono ad operare in piena efficien- za, il tutto naturalmente perché siamo esseri umani, imper- fetti per definizione. Come possono aiutare le teorie econo- miche relative alla sostenibilità? Innanzitutto andando al cuore del tema, sostenibilità significa tentare di sostenere tutti i portatori di interesse di una società, sia essa civile o economica. In questo modo un’attività non si occupa solamente di remunerare il proprio capitale economico ma anche di sostenere il capitale umano, proteggere quello ambientale, sviluppare quello sociale etc. Questo equilibrio tra i vari portatori di interesse crea maggior valore rispetto a dare la possibilità che una categoria si arricchisca a scapito delle altre. L’equilibrio tra portatori di interesse è l’elemento centrale della c.d. stakeholder economy, la teoria economica alla base dei concetti di sostenibilità. Un esempio pratico sono i costi dell’inquinamento, creano in Italia circa 90.000 morti premature all’anno e miliardi in termini di danni economici. Una delle azioni sostenibili più logiche ed immediate per il Paese dovrebbe essere quella di arrivare al 100% di rinnovabili ed elettrificare quasi tutti i consumi energetici, in modo da eliminare l’inquinamento atmosferico. Le tecnologie ci sono e sono anche più competitive rispetto a quelle legate alle fossili e il costo di conversione del sistema, seppur non trascurabile, sarà sempre inferiore rispetto alle esternalità negative create da tali fonti.

Lei è un imprenditore green alla guida di un’impresa leader nel settore delle rinnovabili. La tradizione imprenditoriale della sua famiglia affonda, però, le radici nella produzione di acciaio. Vuole raccontarci le tappe fondamentali di questa transizione?

L’attività siderurgica di famiglia è nata in tempi antichi, quando poco dopo la metà dell’800 un antenato venne dall’Alsazia per prestare attività di consulenza ingegneristica per alcune ferriere della zona del lecchese e di Dongo. Da lì è nata una storia imprenditoriale che ha portato la società ad essere per un lungo periodo il maggior operatore siderurgico italiano privato. Già verso gli anni ’70 del ‘900 però si sentivano le difficoltà di un assetto che, per motivi di mercato e di scelte imprenditoriali non efficienti, cominciava a non essere competitivo con il mercato. Il tutto è poi sfociato nella chiusura o vendita degli impianti siderurgici che si è protratta dalla metà degli anni ’80 fino al 1994. Grazie però alla siderurgia abbiamo trovato in casa i germogli della nostra nuova avventura imprenditoriale perché quando nel 1988 hanno creato i primi incentivi che dovevano sostenere la liberalizzazione e crescita del settore elettrico, i Cip/6, noi siamo stati i primi, e per vari anni pressoché gli unici, a costruirci sopra un’attività industriale. Il tutto grazie al fatto che avevamo già dagli anni ’30 costruito un sistema di impianti idroelettrici che fornivano elettrici- tà ai forni siderurgici. Agli inizi degli anni ‘90 siamo quindi ripartiti con il termoelettrico, in prevalenza da cicli combinati a gas, e poi all’inizio degli anni ’00 con le rinnovabili, in principio in prevalenza eolico mentre adesso stiamo sviluppando in prevalenza solare fotovoltaico e offrendo servizi di efficientamento energetico e alla rete elettrica.

Un sistema economico sostenibile deve essere organizzato in modo diverso, utilizzando legislazione, sistemi fiscali, strumenti di mercato per allineare l’attività economica allo sviluppo sostenibile. Pensa che il governo Draghi farà dei passi vanti decisivi in questa direzione?

L’istituzione di un ministero per la transizione ecologica è certamente un buon segnale e ancora di più è apprezzabile che tutta la materia energetica vi venga convogliata, senza quella spaccatura tra tecnologie e mercato che inizialmente era stata ipotizzata. L’auspicio è che questo governo agisca con coraggio e determinazione, sfidando lobby e maccanismi assistenzialistici molto strutturati e radicati nel Paese. Gli stessi meccanismi che non permet- tono ormai da decenni al Paese di crescere e che fanno fare a noi imprenditori salti mortali per far bene il nostro mestiere in un ambiente economico molto difficile. E qui non si tratta solamente di strutturare il recovery plan, peraltro creato con meccanismi e scadenze piuttosto difficili da far convivere con i tempi della nostra burocrazia, ma di aprire un dialogo nel Paese per fargli ritrovare quella fiducia nelle proprie capacità e nel proprio futuro che sono a mio avviso l’unico antidoto all’assistenzialismo e alla burocrazia. Senza questa rinnovata condizione sociale diventa difficile attuare quelle riforme che dovrebbero rendere il nostro Paese più snello, veloce ed efficacie.

Falck Renewables è stata inserita, per la prima volta, nel Gender-Equality Index (GEI) di Bloomberg. L’indice – che include 380 società in 44 Paesi – traccia le performan- ce delle aziende, a livello mondiale, che si impegnano a divulgare i propri sforzi e risultati raggiunti nell’ambito della parità di genere. Attraverso quali policy avete raggiunto questo risultato?

La policy di Gruppo, denominata People Policy e approvata dal Consiglio di Amministrazione, definisce le nostre procedure di diversità, inclusione e pregiudizio. É quindi importante che queste dimensioni siano elementi strategici nella gestione complessiva di tutta l’organizzazione, in modo che non siano solo procedure ma diventino anche prassi aziendali applicate anche nelle piccole azioni di vita lavorativa quotidiana. Non c’è infatti sviluppo del capitale umano senza diversità, inclusione e avversione al pregiudizio, sono quindi non solamente elementi valoriali di rispetto per le persone ma anche strumenti di creazione di valore aziendale. Leadership femminile e sviluppo di talenti, parità di retribuzione, cultura d’inclusione e politiche messe in atto contro ogni genere di molestie sono i caposaldi della People Policy.

In Italia sussiste un forte mismatch tra i fabbisogni delle imprese e la preparazione delle nuove generazioni. In che modo una integrazione più stretta tra impresa e mondo dell’università e della ricerca può migliorare questa situazione e vincere l’annosa resistenza verso la frequenza di facoltà STEM?

Premetto che la preparazione delle nuove generazioni sia un problema complesso e si rischia di essere riduttivi valutandolo da una sola visuale. A mio avviso il tema centrale è che qualsiasi generazione studia e si prepara al proprio futuro soprattutto in funzione della motivazione e delle occasioni di lavoro e di auto determinazione che la società offre. In altri termini penso che se mai fosse vera l’accusa nei confronti delle nuove generazioni di essere svogliate o poco preparate questa non sarebbe una causa ma un effetto. Del resto una società civile, ma vale anche nella sfera economica, che vede un quarantenne o anche un cinquantenne come un “giovane” che tipo di prospettive offre alle nuove generazioni? Giovani lo si è a 20, magari 30 anni, età dove da noi si è spesso considerati ancora come degli attori socialmente ed economicamente impreparati. In Italia un neo laureato guadagna il 70% in meno di un suo coetaneo tedesco e il 30% in meno di un suo coetaneo francese. Se il ricambio generazionale funzionasse in modo fluido e a tutti i livelli penso ci sarebbe molta più crescita economica rispetto all’assetto attuale e creerebbe quell’attrattività e motivazione per le nuove generazioni che investirebbero nella propria educazione, materie STEM incluse, molto più di quanto non facciano adesso.

Ha più volte dichiarato che non è utopistico pensare a una produzione energetica ottenuta interamente da fonti rinnovabili. In quanto tempo crede che si possa raggiun- gere questo obiettivo e quali ostacoli bisogna superare?

Partiamo dal dato “energy”: per coprire l’intero fabbisogno di elettricità del paese basterebbe utilizzare meno dell’1% del territorio nazionale adibendolo a fotovoltaico o eolico. Quindi per il 100% da rinnovabili serve meno dell’1% di territorio. Questo esclude al momento alcuni cicli industriali che non possono andare a elettricità avendo necessità di alte temperature e di alta densità energetica. Quindi la maggior parte della componente “energy” del mercato elettrico potrebbe essere alimentata da rinnovabili e il tutto, a mio avviso, nell’arco temporale di 7/8 anni sarebbe, con una seria pianificazione autorizzativa, raggiungibile e meno costoso dell’attuale assetto. Lo sviluppo di questa componente è fortemente limitata dalla burocrazia e dalle lunghe procedure autorizzative. Il tema spinoso con le rinnovabili è però relativo alla componente “capacity”, quella componente che permette di mitigare gli effetti fortemente volatili di una produzione elettrica che non dipende dall’attività umana ma dalla disponibilità di sole e vento. In questo caso è necessario evolvere e ammodernare l’infrastruttura elettrica installando impianti che permettano l’immagazzinamento dell’energia elettrica prodotta da rinnovabili in grandi quantità e in tempi più o meno lunghi. Le batterie elettrochimiche sono ad esempio una soluzione attuale ma parzialmente sostenibile perché funzionano solo nel breve termine. Per arrivare ad una soluzione sostenibile bisogna sviluppare anche tecnologie che permettano lo stoccaggio di grandi quantità di energia anche per tempi lunghi, mesi ad esempio. A questa sfida stanno tentando di rispondere le filiere tecnologiche basate sull’idrogeno o l’aria compressa ma siamo ancora indietro e bisognerebbe investire molto di più. Ecco se c’è una raccomandazione da fare al nuovo ministero è quello di investire in modo convinto sullo stoccaggio dell’energia. E non solamente perché è una necessità del mercato elettrico italiano ma perché lo è per qualsiasi mercato elettrico con forti incidenze di rinnovabili e quindi prima sviluppiamo le nostre filiere produttive e di servizi e più competitivi saremo sui mercati esteri che avranno le nostre stesse necessità. E dato che tutto il pianeta si sta dando obiettivi relativi alle rinnovabili è intuibile comprendere che sarebbe un enorme opportunità per il sistema produttivo italiano.

scolaresca

Visita di una scolaresca ad un impianto
Falck Rebewables a Buddusò – Alà dei Sardi (Sardegna)

Fra le città che si sono dotate di programmi per la decarbonizzazione, sono poche le metropoli che hanno intrapreso un precorso di transizione risoluto verso le energie rinnovabili. Che ruolo possono giocare le città in questo ambito e come si può agire per sensibilizzare i policy maker?

Le città sono responsabili di oltre il 70% delle emissioni mondiali di gas serra, è quindi evidente che andare a lavorare su tutta una serie di segmenti applicativi, dalla coibentazione delle case all’installazione di colonnine elettriche per la ricarica delle automobili, è corretto e doveroso ma rischia di diventare un processo troppo lungo e frazionato. Il problema andrebbe risolto con molta più determinazione creando un percorso sostenibile ma ben preciso di sostituzione di tutti i sistemi di riscaldamento e autoveicoli a fonti fossili. Ad esempio se si adottassero queste misure nella Città Metropolitana di Milano in un colpo solo si ridurrebbero le polveri sottili in un range com- preso tra il 60% e il 71% secondo i dati 2018 dell’ARPA. Significa tra le 3.000 e le 5.000 morti premature in meno per l’area milanese, stando ai dati degli enti di ricerca indipendenti europei, per non parlare di tutti i costi sanitari legati alle malattie croniche respiratorie e cardiache. La sostituzione dovrebbe quindi avvenire indirizzando tutti i consumi verso il vettore elettrico, sia per il riscaldamento civile che per la mobilità, ed anche in questo caso la scelta dovrebbe essere netta stabilendo un percorso per arrivare ad importanti percentuali, non meno del 70%, da fonti rinnovabili. Una conversione del genere probabilmente richiederebbe tempi molto lunghi, nei quali però continue- rebbero a correre le esternalità negative. Spesso questo tipo di conversioni vengono viste come dei “costi”, se si comprendesse che invece sono a tutti gli effetti degli “investimenti” anche le tempistiche si accorcerebbero in modo sostanziale.

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Edoardo Croci

Edoardo Croci è laureato con lode in Discipline Economiche e Sociali all’Università Bocconi di Milano ed è stato Visiting Scholar al Dipartimento di Management della New York University. Direttore di ricerca di IEFE, il centro di ricerca di economia e politica dell’energia e dell’ambiente dell’Università
Bocconi è Project Leader dell’area Green Economy del CRIET – (Centro di ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio). È titolare del corso “Carbon management and carbon markets” all’Università Bocconi. È stato Assessore alla Mobilità, Trasporti e Ambiente del Comune di Milano e Presidente dell’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) della Lombardia. Autore di numerose pubblicazioni in materia di economia dell’ambiente e dell’energia.

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